Mancato rispetto della vita privata di una persona, commenti ingiustificati, linguaggio e argomenti che trasmettono i pregiudizi sulle donne esistenti in Italia. Tutto questo, pare incredibile, è stato riconosciuto in una sentenza della Corte d'Appello di Firenze, che nel 2015 aveva assolto 7 imputati accusati di violenza sessuale di gruppo. Ora, a distanza di anni, per il nostro paese arriva la condanna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. A fare ricorso era stata proprio la donna che aveva denunciato lo stupro e che aveva poi chiesto ai giudici di Strasburgo di pronunciarsi non contro l'assoluzione ma sul contenuto della sentenza che, a suo dire, aveva violato la sua vita privata e l'aveva discriminata. La corte ha riconosciuto come ingiustificato il riferimento alla biancheria intima indossata la sera dei fatti, così come i commenti sulla sua bisessualità, le sue relazioni sentimentali o i rapporti sessuali avuti in precedenza. Inappropriate, inoltre, le considerazioni sulla sua attitudine ambivalente rispetto al sesso. Fuori contesto e deplorevoli vengono definiti i giudizi sui motivi che avevano indotto la donna a denunciare i fatti. Valutazioni che, secondo Strasburgo, non sono pertinenti per valutare la credibilità della persona e la responsabilità degli accusati e non possono essere giustificati dal diritto alla difesa degli imputati. La legge italiana e alcuni trattati internazionali, impongono infatti di proteggere la privacy e l'immagine di chi è coinvolto nei processi. Secondo la corte dunque, i giudici devono evitare di riprodurre stereotipi sessisti, di minimizzare le violenze di genere e di usare argomenti colpevolizzanti e moralizzanti che tolgono fiducia nella giustizia. Alla donna è stato riconosciuto un risarcimento di 12 mila euro per danni morali.