"Dobbiamo avere paura di noi stessi." dice il parroco di Samarate. Don Nicola Ippolito celebra nella Chiesa della Santissima Trinità la Messa per i funerali di Stefania Pivetta, 56 anni e della figlia 16enne Giulia, uccise all'alba del 4 maggio dal padre della ragazza Alessandro Maja, 57 anni, designer di interni. Nel piccolo centro di 16mila abitanti nel varesotto si conoscono tutti, a centinaia si riuniscono nella Chiesa parrocchiale in Piazza Italia, dove Giulia e il fratello Nicolò, anche lui gravemente ferito dal padre, erano stati battezzati. "Perché il male," si chiede don Nicola, "è arrivato così in profondità nell'ambito familiare e tu non hai fermato la sua mano?" La mano è quella dell'uomo che ha confessato l'omicidio di moglie e figlia e che è ora ricoverato nel reparto di Psichiatria dell'ospedale San Gerardo di Monza, in attesa di perizia psichiatrica. "Non so cosa mi sia passato per la testa" dice solo poche ore fa Alessandro Maia davanti al Gip. Racconta dei debiti, dell'incapacità di reagire, il paese intero è senza parole. Parla la bara bianca di Giulia, parlano i fiori gialli e le lacrime di parenti e amici, i volti sconvolti dei compagni di liceo. I palloncini, segno di un adolescenza troncata appena uscita dall'infanzia. "Non abbiamo risposte" dice don Nicola, "siamo aggrappati a quella croce.".























