Raffreddare gli animi e le tensioni. È l'obiettivo delle autorità milanesi dopo i disordini nel quartiere Corvetto periferia sud-est del capoluogo lombardo. Certo restano le immagini degli scontri con le forze dell'ordine specie quelli di domenica sera, i roghi, le barricate, l'autobus con i vetri spaccati, la rabbia dei più giovani abitanti della zona nordafricani, albanesi, kosovari d'origine, italiani nei fatti, perlopiù di seconda in qualche caso di terza generazione ormai. Raffreddare le tensioni è per questo che si è deciso di affidare il controllo dell'ordine ai soli agenti della polizia in queste ore, meglio non provocare. Era una macchina dei carabinieri infatti che inseguiva Rami il diciannovenne di origini egiziane morto dopo essere caduto dallo scooter al termine di una corsa attraverso mezza città. Per l'incidente restano indagati il 22enne tunisino che guidava lo scooter, Rami era dietro, e il carabiniere che era al volante dell'auto. "Capisco che alla destra piace fomentare queste situazioni, ma io sono qua oggi per continuare a dire che la nostra vuole essere una città accogliente che noi facciamo un bagno di realismo, nel realismo le migrazioni ci sono sempre state, sempre ci saranno, e che Milano è una città molto accogliente. Dopo di che, le regole vanno rispettate". Da quando esiste, il Corvetto è per Milano un laboratorio di integrazione sociale, il più grande in città insieme al quartiere San Siro. Prima gli sfollati interni della guerra, poi gli immigrati del Sud, infine gli stranieri. Problemi ovvio, degrado e criminalità, case occupate ma anche energia creativa, libreria di frontiera, atelier d'arte contemporanea e movimenti politici di lotta, centri sociali che in qualche caso in passato hanno dato prova di guerriglia urbana con notevole capacità organizzativa e anche a loro in queste ore si guarda con attenzione speciale.