La gravità di quello che facevano emerge dalla loro stessa consapevolezza: "Io ogni tanto ci penso, chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi." A parlare, intercettato con un collega, è Antonio Carucci, il geologo addetto alle vendite della Butti srl, azienda bresciana accusata di un'imponente traffico illecito di rifiuti realizzato tra il gennaio 2018 e l'agosto 2019, che avrebbe fruttato, secondo le indagini condotte dai Carabinieri Forestali di Brescia coordinati dalla Procura cittadina, oltre 12 milioni di euro di profitti. Soldi ottenuti avvelenando con 150000 tonnellate di fanghi tossici, l'equivalente di 5000 tir, contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altri veleni e spacciati per fertilizzanti, 3000 ettari di terreni agricoli in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna. Il modus operandi era sempre lo stesso l'azienda, che ha tre stabilimenti ora tutti sequestrati, a fronte di lauti compensi ritirava i fanghi prodotti da numerosi impianti pubblici e privati di depurazione delle acque reflue per poi, almeno sulla carta, trattarle con un procedimento che avrebbe dovuto garantirne l'igienizzazione e la trasformazione in sostanze fertilizzanti, procedimento che puntualmente, secondo la Procura, veniva omesso. I rifiuti tossici poi per essere smaltiti venivano classificati come gessi di defecazione che il sodalizio proponeva a vari agricoltori di spandere a titolo gratuito sui propri terreni, di più, il meccanismo illecito prevedeva anche l'ulteriore offerta gratuita di arare gli stessi terreni, allettati non tanto delle supposte proprietà fertilizzanti, ma dal risparmio sulle spese di lavorazione dei campi, molti agricoltori accettavano, 15 in totale le persone indagate.