Oltre 150 anni di carcere. È la richiesta complessiva di condanna fatta dai PM al processo penale, con rito abbreviato, sulla tragedia all’Hotel Rigopiano di Farindola, in provincia di Pescara, travolto il 18 gennaio 2017 da una valanga che provocò 29 vittime. Richieste pesanti per i 30 imputati, a tutti i livelli, a riprova di quel «fallimento dell’intero sistema» di cui ha parlato durante la requisitoria in aula la pubblica accusa. La pena più alta, 12 anni, è stata chiesta per l’allora Prefetto di Pescara, Francesco Provolo. «Non ci sono grandi misteri da svelare» – dice il Capo della Procura, Giuseppe Bellelli – «Parliamo di un Prefetto di provincia che lascia cadere nel vuoto una richiesta di aiuto». Poi 11 anni e 4 mesi per il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta. E 6 anni per l'ex Presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco. Pesanti, secondo l’accusa, le responsabilità di un gran numero di dirigenti comunali e provinciali nella gestione dell’emergenza e della viabilità, sconvolta per il grave maltempo di quei giorni. E nella concessione dei permessi urbanistici in una zona notoriamente a rischio valanghe. E ancora: la proprietà dell’hotel, il gestore, la Protezione Civile. E perché non era mai stata approvata la Carta Valanghe, di competenza della Regione? Come dire: sono coinvolti tutti. Un vero e proprio «collasso del sistema», secondo uno dei PM, Anna Benigni, che davanti ai parenti delle vittime parla di «omissioni sistemiche di una classe dirigente protagonista di malgoverno e impegnata a soddisfare interessi clientelari invece che quelli dei cittadini». Mentre, dopo oltre due anni di processo, vengono mostrati in aula tutti i volti delle vittime, con i rispettivi nomi.