Prima le estenuanti operazioni di ricerca e soccorso scavando a mani nude per una settimana sotto le macerie dell’hotel Rigopiano travolto da tonnellate di neve. Poi la messa in sicurezza dell’area, ora sotto sequestro, in cui è cominciata la seconda fase, quella delle indagini, delle analisi, dei rilievi per ricostruire la dinamica della micidiale valanga, il crollo della struttura, l’incidenza delle scosse che hanno fatto tremare la terra e la montagna, quel mercoledì 18 gennaio. I Vigili del fuoco sono ancora impegnati qui, a quota 1.200 metri, con un occhio attento al Gran Sasso: ora che la temperatura è salita fa ancora più paura. Questo è il campo-base dei Vigili del fuoco, che svolgono operazioni di supporto e sicurezza per tutti gli operatori che stanno lavorando nella zona in cui fino a due settimane fa sorgeva l’hotel Rigopiano. Da questo punto in poi si può procedere soltanto con un particolare dispositivo che permette di essere individuati nel caso di valanghe: “Il bollettino valanghe del Meteomont ci dà il grado di pericolo nelle varie zone. In questa zona interessata c’è un grado di pericolo 3, marcato, quindi c’è ancora la possibilità di distacchi valanghivi. Noi facciamo da supporto sia alle forze dell’ordine che ai vari periti che devono salire nella zona interessata dall’evento per dar loro sicurezza in caso di altre valanghe”. Cristiano Capraro e Roberto Bogo, della squadra dei Vigili del fuoco di Belluno, sono stati i primi ad arrivare qui sul luogo della tragedia, esattamente poche ore dopo la valanga che aveva travolto l’hotel. È così? Siete arrivati con le ciaspole, con gli sci, quando ancora la strada non era praticabile? “Sì, siamo arrivati all’alba, con gli sci d’alpinismo. Siamo saliti, c’era già personale del Soccorso alpino, abbiamo cominciato la ricerca, ad adoperare”. Non sentivate nessuna voce che arrivava dalle macerie? “No, non c’era nessuna voce. È la prima cosa che abbiamo cercato di ascoltare, ma non c’era nessuna voce che arrivava da sotto, infatti le probabilità scendevano, in merito. Però poi si è insistito finché c’è stato l’esito positivo nei giorni successivi”. “L’emozione in quel momento era moltissima. Aver salvato, di tutto questo nucleo, i quattro bambini che sono usciti ‘indenni’ è una cosa che ti riempie veramente il cuore e ti fa sentire bene con te stesso”.