Viminale condannato a risarcimento per case occupate

260.000 euro al mese. Tanto il Ministero dell’interno dovrà versare alla società privata che possiede questi due palazzi di viale Caravaggio a Roma, occupati abusivamente dal 2013 da 350 persone. Così ha stabilito il Tribunale civile della Capitale per un conto totale che fino a oggi supera i 10 milioni; soldi pubblici che, sebbene si tratti di una sentenza di primo grado e quindi in teoria ribaltabile, dovranno essere pagati perché lo sgombero dei due immobili non è stato mai eseguito. La Polizia infatti non ha mai cacciato via le famiglie che si erano stabilite nelle palazzine, che un tempo ospitavano uffici della Regione Lazio, perché – sostiene il Viminale, che presenterà appello – il Comune non aveva trovato degli alloggi temporanei per alcune di quelle persone che si trovavano in gravi situazioni di disagio. In pratica, quindi, lo Stato, che non riesce a trovare una soluzione abitativa, deve pagare un risarcimento al proprietario della casa occupata, che nel caso specifico è una società riconducibile alla storica famiglia dei costruttori Armellini, nota alle cronache anche per i suoi contenziosi con il fisco. Quanto stabilito dai giudici romani è comunque un precedente importante per un tema esplosivo, non solo a Roma, dove ad agosto ci furono scene da guerriglia urbana per lo sgombero di un palazzo di via Curtatone, ma in tutte le grandi città dove si trovano centinaia di immobili occupati. Da un lato ci sono le esigenze di chi non ha un tetto, dall’altro quelle legittime di chi possiede un immobile e non può utilizzarlo perché dentro c’è qualcuno senza permesso. È vero che può trattarsi di persone che hanno davvero bisogno, ma a pagare non dovrebbe essere un privato, ma lo Stato attraverso interventi di welfare. In qualche modo la sentenza del Tribunale di Roma rende operativo questo principio condannando il Ministero dell’interno a pagare il risarcimento ogni mese finché i due palazzi non saranno liberati, circostanza che non appare affatto all’orizzonte.