"Quando ho detto che questo è stato un rischio ragionato che abbiamo preso, è esattamente questa la risposta. Sì, noi abbiamo preso questo rischio, riapriamo, se i comportamenti sono osservati, sulla campagna vaccinale non ho dubbi che continuerà ad andare sempre meglio, la probabilità che si debba tornare indietro è molto piccola, molto bassa". Era il 16 aprile scorso quando il Premier Mario Draghi pronunciava queste parole in conferenza stampa in vista delle riaperture del 26 aprile. Da allora è trascorso un mese e ciò che si può constatare è che il rischio è stato calcolato bene. Nonostante il graduale allentamento delle restrizioni anti-Covid e la riapertura di molte attività, dal 26 aprile il numero di contagi è calato su base settimanale del 65%. Una discesa reale, sebbene si facciano meno tamponi, e a spiegarlo sono proprio i numeri. La percentuale di positivi sui tamponi effettuati, che un mese fa sfiorava il 6%, oggi si attesta sotto il 2. Ma il dato che meglio testimonia questo calo è la pressione sugli ospedali. Oggi che l'Italia è tutta in zona gialla nessuna regione supera la soglia di allerta, nè nei reparti ordinari dove i posti letto occupati sono passati da 20.000 a poco più di 8.000, né in terapia intensiva, qui i ricoverati al momento superano di poco i 1.300 rispetto agli oltre 2.800 di un mese fa, con meno di 50 ingressi giornalieri, anch'essi in flessione. Merito, evidentemente, anche del rispetto delle norme di comportamento e della campagna di vaccinazione, che procede a ritmo sostenuto. In un mese le dosi somministrate sono state quasi 14 milioni. Un andamento in discesa, in linea con gli altri tre grandi Paesi dell'Unione Europea, anche se le riaperture sono state differenti. Tra i dati negativi quello relativo ai decessi, che pur in evidente calo, resta tra i grandi d'Europa il più alto in rapporto alla popolazione.