"Ciao Tullia, piccola stella del tuo papà, ho saputo che hai chiesto alla zia come regalo, per il tuo prossimo compleanno, un grande aquilone per volare fino al papà e portarlo finalmente a casa". Queste sono le prime righe della lettera che Marco Zennaro, imprenditore veneziano agli arresti domiciliari a Khartum in Sudan, ha scritto alla figlia, affidandolo al Corriere del Veneto. "L'Aquilone che mi porterà a casa si chiama Italia" scrive Zennaro, e con questo fa capire che ormai solo una soluzione diplomatica può rendere possibile il suo rientro a casa. Un rientro che solo pochi giorni fa sembrava a un passo dato che i giudici locali avevano fatto cadere tutte le accuse penali a suo carico, ma che ha subìto un ulteriore rinvio per la nomina di un nuovo procuratore, il terzo, da quando ha preso il via la sua odissea giudiziaria. L'accusa originale, di aver venduto trasformatori elettrici non conformi, è infatti decaduta, per gravi vizi formali, ma resta in piedi il procedimento civile. I legali di Zennaro, affiancati dal personale dell'Ambasciata Italiana, hanno cercato di raggiungere un accordo. Il giudice ha però chiuso l'ultima udienza rimandando ogni ulteriore discussione al 9 agosto, un mese in più che l'imprenditore dovrà trascorrere agli arresti. Oltre alla diplomazia si è mossa anche la società civile con iniziative per fare pressione su Khartum affinché Zennaro possa uscire da questa vicenda kafkiana ma purtroppo, ad oggi, le legittime istanze dell'imprenditore e della sua famiglia cozzano contro il muro burocratico delle autorità sudanesi.