Non una ma tre, tante sono le sentenze con le quali il Consiglio di Stato dice ancora una volta che bisogna fare le gare per la gestione delle spiagge, che qualsiasi proroga automatica è illegittima perché non mettere a bando la gestione dei lidi è contrario alle regole sulla concorrenza dell'Unione europea. I comuni dunque devono fare le aste per le concessioni delle spiagge, scadute a fine 2023, con la sola eccezione per quei casi in cui è stata già avviata la gara che dovrà concludersi entro dicembre di quest'anno. Alla vigilia della stagione estiva si riaccende così il dossier balneari che vede da anni Roma contrapposta a Bruxelles col nostro Paese che rischia multe salate perché rinvia la liberalizzazione del settore con vari argomenti. L'ultimo è quello della cosiddetta scarsità delle risorse, in pratica dopo una prima ricognizione il Governo sostiene che c'è abbondanza di spiagge libere, per cui le gare non sarebbero necessarie. L'Europa non è della stessa idea e la diatriba è aperta con la possibilità nel frattempo di allungare le concessioni esistenti fino al 2025, cosa che appunto la magistratura contesta tanto da dire che il tema della scarsità dei lidi non è decisivo per rinviare. Insomma un intricata questione giuridica che ha sullo sfondo interessi politici ed economici rilevanti, dalle oltre 16mila concessioni esistenti lo Stato ricava in media poco più di 100 milioni l'anno, grazie ai canoni, le spiagge sono infatti di proprietà pubblica. Una cifra che appare molto bassa secondo la Corte dei Conti, se si valutano i fatturati dei gestori, che quest'anno possono contare su canoni più leggeri, sono stati infatti ridotti per tener conto dell'alta inflazione.