Chi siederà al Ministero dell'Economia erediterà un'agenda piena di nodi da sbrogliare in tempi strettissimi e con l'incognita delle risorse a disposizione. Condizionato dalla crisi energetica ci sarà pochissimo spazio per mantenere alcune delle promesse elettorali dei partiti del centrodestra, come la maggiore flessibilità per andare in pensione, da gennaio se non si fa nulla serviranno 67 anni, e il taglio delle imposte con la Flat Tax. Il capitolo di spesa più urgente è infatti quello del carovita. Per continuare a raffreddare le bollette a famiglie e aziende, così come fatto finora, servono una ventina di miliardi a trimestre. Gli aiuti esistenti scadono a breve: il 18 novembre quelli per i carburanti e il 30 dello stesso mese quelli per le aziende, il 31 dicembre gli sconti su luce e gas. In contemporanea, bisognerà allestire la legge di bilancio che in cima alla lista presenta: l'adeguamento delle pensioni all'inflazione, che va fatto per legge e costa 8-10 miliardi, la conferma del taglio del cuneo fiscale per i lavoratori, 3-4 miliardi per rendere un po' più pesante la busta paga e ancora, il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici. Il conto è già arrivato a una quarantina di miliardi e la coperta è corta. Le entrate fiscali aggiuntive, garantite quest'anno da inflazione e crescita, potrebbero non fornire il contributo sfruttato dal Governo Draghi. Si dovrebbe poter contare su una decina di miliardi lasciati in eredità dall'esecutivo uscente e i denari dei fondi europei utilizzabili per l'energia, 3-4 miliardi. Incerti gli incassi che potrebbero arrivare da un'eventuale stretta sui bonus edilizi, sul reddito di cittadinanza e da una sanatoria delle cartelle esattoriali. Con le previsioni di un Prodotto Interno Lordo al lumicino per il 2023, appare quindi probabile che il prossimo capo di Via Venti Settembre dovrà chiedere a Bruxelles di poter spendere più denari, cioè fare più deficit l'anno prossimo, assicurando al contempo che il debito pubblico rimarrà sotto controllo.