Con le 6 pagine con le quali Arcelor Mittal restituisce le chiavi dell'ex Ilva si apre un ventaglio di scenari sul futuro del gruppo siderurgico che ha il suo fulcro a Taranto. La prima possibilità è la più temuta. La chiusura. Un evento teorico che avrebbe ricadute drammatiche non solo sui dipendenti dell'azienda e quelli dell'indotto ma sull'intera economia italiana. Saremmo costretti a incrementare le importazioni di acciaio dall'estero, con probabili aumenti dei costi di produzione per le imprese, concentrate soprattutto al Nord. Scenario improbabile è quello della chiusura, perché se davvero Arcelor Mittal getterà la spugna, rimettendosi in tasca i miliardi di investimenti promessi, l'ex Ilva sarà consegnata ai commissari straordinari. Una gestione di questo tipo già c’è stata, dal 2013 fino all'anno scorso ed è andata avanti grazie anche ai soldi pubblici. Trovare un compratore non è stato semplice, così come non sembra facile ripescare chi aveva conteso ad Arcelor Mittal la conquista dell'Ilva. Parliamo della cordata Acciaitalia, che è stata sciolta. Circola però l'idea di chiamare in causa gli indiani di Jindal, che di quella compagine era parte, insieme al finanziere Leonardo Del Vecchio, il gruppo siderurgico Arvedi e i denari pubblici di Cassa Depositi e Prestiti. Altra ipotesi possibile è quella del dimezzamento della società, magari con la vendita a pezzi o ancora della nazionalizzazione. L’Ilva in quest'ultimo caso tornerebbe pubblica. Ma quale sarebbe il costo per i contribuenti? In ogni caso, comunque, riemergerebbe la questione dello scudo penale. In assenza dell'immunità per l'attuazione del piano ambientale è difficile che qualcuno prenda le redini dell'acciaieria. Ecco perché c'è un altro scenario. Ripristinare lo scudo, magari con una portata più limitata. In questo modo potrebbe tornare in partita Arcelor Mittal. La politica però dovrebbe implicitamente ammettere di aver sbagliato. Inoltre il colosso indiano potrebbe rivedere i suoi investimenti e chiedere sacrifici occupazionali.