Meno tasse sul lavoro, di più sulle cose. È il mantra che l'Europa ci ripete da anni e che dovrebbe portare a una profonda riforma fiscale, con la possibilità fra l'altro che cambino le tasse sulla casa e qualcuno finisca per pagare di più. Una circostanza che diventa più concreta col Recovery Fund, i 209 miliardi di risorse che Bruxelles ci mette a disposizione contro la crisi causata dalla pandemia. L'utilizzo di questi soldi è infatti legato a una serie di riforme e nelle sue raccomandazioni all'Italia l'Unione indica anche la revisione delle rendite catastali che non sono state aggiornate. In pratica vuol dire adeguare i parametri esistenti a quelli di mercato. Da tempo infatti sappiamo che i valori degli immobili nei registri dello Stato non sempre rispecchiano il prezzo d'acquisto, col risultato per esempio che spesso un appartamento costruito pochi anni fa alla periferia di una grande città ha una rendita di due o tre volte superiore a una casa di uguale grandezza in centro. Chi abita ai margini di Roma o Milano potrebbe finire quindi per pagare in proporzione più tasse, IMU, Tasi e altri balzelli di chi vive magari in un immobile d'epoca che ha un costo di listino molto alto. L'entità delle imposte è infatti ancorato al valore catastale. I tentativi di adeguare a livello nazionale le rendite non sono mancati, ma nessuno è andato in porto. L'ultimo progetto del 2015 prevedeva di considerare i metri quadrati e non i vani e il censimento delle varie zone per capire se quelle considerate di pregio decenni fa lo erano ancora. Il tutto a invarianza di gettito, cioè il totale delle tasse incassate non sarebbe dovuto crescere. In questo modo, però, a fronte di chi avrebbe pagato meno, ci sarebbero stati milioni di italiani che avrebbero finito per versare più quattrini al fisco, un aspetto che rende altamente impopolare e indigesta a chi governa una riforma di questo tipo.