Per questo operaio che assembla pistoni le prospettive non sono delle migliori: o la sua azienda si metterà a produrre qualcos'altro, destinandolo a nuovi compiti, o rischia di rimanere disoccupato. Ne sanno qualcosa alla Bosch di Bari dove 700 dei 1.700 impiegati della fabbrica pugliese nel giro di cinque anni potrebbero perdere il lavoro in quella che è dipinta come la prima vera crisi nel nostro Paese legata alla transizione ecologica. Entro il 2035 infatti le macchine nuove dovranno avere impatto zero sull'ambiente. In pratica dal concessionario troveremo solo quelle elettriche o a idrogeno. Non si tratta di una trovata italiana ma del programma europeo per accelerare la lotta all'inquinamento. Un piano che fa traballare migliaia di posti di lavoro. A rischiare di più sono le imprese che producono le parti meccaniche di motori a benzina e diesel. Un settore, quello della componentistica, molto importante in Italia: 2.200 imprese con oltre 161 mila dipendenti che fattura €45 miliardi. Se si punterà solo sull'elettrico, sostengono i produttori, nel nostro Paese ci sarà un'emorragia da 73 mila posti entro il 2040. L'elettrico non riuscirà a compensare questo dissanguamento. Si prevede che in tutto il continente andranno in fumo mezzo milione di posti a fronte di 226 mila nuovi occupati che non è detto però siano gli stessi che prima fabbricavano motori a scoppio. Industriali e sindacati sono in pressing sul nostro Governo affinché intervenga. Sono stati annunciati nuovi incentivi, cioè soldi pubblici, e si vuole discutere con Bruxelles come, per esempio, proteggere la classe di aziende che ruota intorno a marchi celebri come Ferrari, Maserati o Lamborghini che difficilmente potranno adeguarsi ai nuovi standard. Ma il problema, come visto, non è solo di nicchia: riguarda migliaia di piccole e medie aziende e, ovviamente, i colossi delle quattro ruote.























