"Noi siamo consapevoli che la portata è enorme, ovviamente è per le due banche interessate e, ovviamente, anche grande portata per la stabilità finanziaria internazionale". È il presidente della Confederazione Svizzera, Alain Berset, ad annunciare che il Credit Suisse finirà nelle mani di UBS, la seconda banca scudo crociata sarà acquisita dalla numero uno del Paese, eterna rivale, per 3 miliardi di euro, in quello che è il maggiore accordo di questo tipo dalla crisi del 2008. Un matrimonio storico architettato dalle autorità svizzere, americane ed europee, per calmare le turbolente acque in cui il Credit Suisse stava trascinando i mercati finanziari e al quale si è arrivati dopo un'estenuante trattativa. Per il salvataggio che evita la nazionalizzazione, lo Stato svizzero ha promesso di sborsare fino a 100 miliardi di liquidità, più altri 9 per le cause legali e gli esuberi fra il personale, che potrebbero interessare circa 10 mila impiegati. Il fallimento del Credit Suisse sarebbe stato più costoso per i contribuenti, ha sottolineato il governo della Confederazione, che ha precisato come si tratti di un'operazione commerciale. Evitare il crollo di quella che è una delle 30 banche sistemiche del pianeta, si è reso necessario per cercare di scongiurare l'effetto contagio, che a catena può portare alla crisi di molti altri istituti. Non per niente è arrivata a caldo la promozione degli Stati Uniti, dove Credit Suisse e UBS hanno molti affari e da Francoforte, dove la presidente della BCE Christine Lagarde, ha ribadito che le banche dell'Eurozona sono solide e che, se necessario, ci sono gli strumenti per sostenerle.