La trattativa sui dazi è ancora in piedi. Cina e Stati Uniti torneranno da giovedì a sedersi attorno a un tavolo e Pechino invia a Washington un peso massimo. Il Vicepremier Liu è già a capo della delegazione che da mesi negozia una soluzione per la guerra commerciale iniziata da Donald Trump. Il Presidente americano ha rilanciato in questa partita a poker col Dragone, promettendo da venerdì nuove tariffe doganali sui prodotti cinesi importati in America. Una mossa in apparenza contraddittoria con la volontà di andare avanti coi colloqui, ma che la Casa Bianca ha voluto per convincere Pechino a rispettare quanto finora promesso. Gli Usa chiedono forti cambiamenti, protezioni per i marchi e brevetti tecnologici, maggior accesso all'immenso mercato dei consumatori cinesi, protezione delle imprese e un freno ai sussidi pubblici e all'industria cinese. La dirigenza comunista avrebbe fatto alcune concessioni, ma secondo fonti americane i passi in avanti non sarebbero sufficienti e non ci sarebbe la certezza che i patti saranno rispettati in futuro. Da qui l'idea di Trump di alzare il tiro alla vigilia di un round cruciale di trattative, pensando in questo modo di arrivare al tavolo con una posizione di forza. La Cina ostenta tranquillità affermando che se andasse tutto a monte, l'impatto sarebbe controllabile. La sua economia, pur continuando a viaggiare a ritmi stellari rispetto a quelli dell’Occidente, mostra segni di rallentamento e la guerra delle tariffe doganali, oltre a creare un clima di incertezza a livello mondiale, costa miliardi di dollari alle due maggiori economie del Pianeta. Trump, forte del buon andamento dell'economia americana con la disoccupazione a livelli raso terra, ritiene che agire sulla leva dei dazi sia lo strumento più efficace, sebbene finora i risultati sulla bilancia commerciale Usa non siano incoraggianti. Tassare le merci del Dragone ha scatenato ritorsioni e contromosse, col risultato che anche i beni a stelle e strisce hanno subito la stessa sorte. Il deficit americano degli scambi con l'estero l'anno scorso è salito al livello più alto da dieci anni e il rosso con Pechino anziché diminuire, come vuole Washington, è aumentato con un calo dell'export e la crescita delle importazioni.