Un conto salato miliardario per il made in Italy. È questo il temuto effetto che potrebbero avere nuove tasse americane sui prodotti venduti dalle nostre imprese negli Stati Uniti. Un rischio soprattutto per chi esporta beni alimentari, dal parmigiano all'olio d'oliva, ma anche abbigliamento e calzature, la meccanica con auto e barche e il vasto campo della farmaceutica. Settori che potrebbero subire contraccolpi se davvero Donald Trump renderà concrete le minacce di dazi aggiuntivi contro l'Europa. Gli scenari sono molto variabili. Ipotizzando tariffe del 20%, lo Svimez si aspetta una diminuzione del nostro prodotto interno lordo di 3,8 miliardi di euro. Un calo dello 0,2% annuo che emerge dall'analisi effettuata per il Sole24Ore che, con la crescita debole che abbiamo, non sarebbe indolore. Pesante anche lo scenario elaborato da Prometeia a inizio novembre, con dazi al 10% e i costi aggiuntivi per la nostra economia sarebbero fra i 4 e i 7 miliardi di dollari. L'impatto è stimato più contenuto nel caso in cui le nuove tariffe fossero limitate a beni già tassati in passato, mentre salirebbe se esteso a quei prodotti finora risparmiati dal protezionismo a stelle e strisce. La stretta di Trump causerebbe costi maggiori alla Germania, mentre Francia e Spagna sarebbero meno penalizzati di noi. Insomma, l'Italia rischia di perderci parecchio. D'altra parte, l'America è il nostro secondo partner commerciale al mondo. Negli ultimi anni le nostre esportazioni sono in aumento, con il risultato che noi come l'intera Unione Europea, vendiamo più di quanto compriamo oltreoceano. Ed è proprio questo sbilanciamento che irrita il capo della Casa Bianca, col rischio di rappresaglie da parte di Bruxelles, che però deve muoversi con cautela, visto che gli Stati Uniti, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, sono diventati il primo fornitore di gas liquefatto e petrolio del Vecchio Continente.