Il mercato del lavoro rialza la testa a marzo, con la disoccupazione in lieve calo rispetto al mese precedente e una ripresa del numero di persone che ha un posto, mentre scende il tasso dei senza lavoro tra i più giovani. Buone notizie, dunque, soprattutto se si guarda alla sola occupazione, tornata ai livelli del 2008. I dati dell'ISTAT certificano, però, come la disoccupazione resti sopra il 10 per cento e lo stesso Governo, nel documento di economia e finanza di poche settimane fa, è addirittura più pessimista, avendo stimato che a fine anno i senza lavoro saliranno all'11 per cento. Se è vero che l'esercito di italiani a caccia di un posto si è ridotto, è anche vero che ci sono 2.600.000 persone che ancora cercano un lavoro, mentre gli oltre 130 tavoli di crisi aziendali aperti che mettono a repentaglio il futuro di 200.000 dipendenti non fanno ben sperare. Il nostro Paese, d'altra parte, rimane in fondo alla classifica europea. Nel vecchio continente peggio di noi per disoccupazione ci sono solo Spagna e Grecia. L'esecutivo si è mosso col reddito di cittadinanza, i cui effetti si vedranno solo in futuro e il decreto dignità, entrato in vigore lo scorso novembre, con l'intento di ridurre il precariato, ma che mostra dati in chiaroscuro. Nei primi tre mesi di quest'anno i tempi determinati sono diminuiti a favore dei permanenti rispetto all'ultimo trimestre 2018, ma rispetto a un anno fa il dato di marzo non riflette ancora una crescita dei contratti a tempo indeterminato. Il decreto continua a non convincere gli industriali e il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, è convinto che non migliori la qualità del lavoro. Non è che si crea lavoro nel Paese con un decreto che interviene solo sulle regole quando abbiamo un carico fiscale sul lavoro e sui salari dei lavoratori italiani che passa dal 70 al 120 per cento e parliamo di salario minimo e di decreto dignità. Evidentemente non abbiamo chiaro qual è il punto centrale dell'incremento del lavoro, dell'occupazione e dei salari nel Paese. A chiedere interventi più efficaci sono anche i sindacati che insistono su uno dei fronti più caldi degli ultimi mesi, quello dei rider, i fattorini delle piattaforme digitali. Una categoria di precari per i quali il Governo si era impegnato per dare più tutela all'indomani del suo insediamento, ma che finora non si è tradotto in nulla di concreto.