A un passo dal commissariamento e, quindi, dal salvataggio pubblico. Per Acciaierie d’Italia, l’erede dell’Ilva, il destino sembra segnato. Il Governo ha avviato l’iter per l’amministrazione straordinaria, che, in pratica, porterebbe nelle mani statali la gestione del gruppo siderurgico che ha il grosso delle sue attività a Taranto. La procedura, annunciata nell’incontro fra Esecutivo e sindacati, non è formalmente arrivata al traguardo: Arcelor-Mittal, il socio di maggioranza dell’azienda gestita insieme alla controllata pubblica Invitalia, ha due settimane per replicare, cioè per dire se è insolvente. Se così fosse, o in assenza di una risposta, il timone passerà allo Stato. Il tentativo di un divorzio consensuale sarebbe dunque naufragato e nulla sembra poter ormai salvare il matrimonio. D’altra parte, la multinazionale, non reputa più strategico il nostro Paese e non vuole mettere altri soldi. A scucire i denari ci penserà lo Stato, con, nell’immediato, 320 milioni per evitare di chiudere i battenti e pagare i creditori. Poi serviranno altri quattrini, oltre un miliardo nel giro di qualche mese, e un nuovo partner privato e autorevole in grado di prendere le redini dell’acciaieria. Questa è l’intenzione di Palazzo Chigi per quella che è stata descritta come una nazionalizzazione a tempo e predisposta qualche giorno fa con un decreto col quale si prevedono una serie di strumenti per garantire i posti di lavoro con la cassa integrazione e la produzione. Obiettivi dichiarati dal Governo, che dovrà convincere i sindacati, preoccupati per i circa 20mila posti di lavoro, tra dipendenti e indotto, coinvolti nell’ennesima crisi di un polo industriale che attende di cambiare pagina con un profondo risanamento ambientale.