Un divorzio consensuale cioè un addio senza lunghe battaglie legali e il rischio di indennizzi a carico delle casse pubbliche. E' questo che cerca di ottenere il Governo entro mercoledì prossimo da ArcelorMittal con la quale è socio in Acciaierie d'Italia, il gruppo siderurgico erede dell'Ilva che ha il suo cuore a Taranto coi suoi 8000 operai. La strada battuta da Palazzo Chigi che dichiara come primo obiettivo la continuità produttiva dell'azienda cioè che non chiuda i battenti, è emersa nell' incontro coi sindacati preoccupati che l'acciaieria in profonda crisi possa finire in amministrazione straordinaria con la prospettiva di nuove tornate di cassa integrazione e di mettere in ginocchio le imprese creditrici. Si auspica quindi una soluzione più morbida un compromesso che comunque comporta il salvataggio di Stato. ArcelorMittal non è interessata a investire nemmeno come socio di minoranza dopo che l'esecutivo ha proposto di mettere 320 milioni per evitare la chiusura e aumentare la sua quota al 66%. Soldi sufficienti solo nell'immediato perché servirebbe almeno un altro miliardo per andare avanti. In ogni caso la multinazionale convinta di aver fatto finora la sua parte accoglierebbe il nuovo assetto solo con l'assicurazione di poter continuare a reggere il timone a braccetto, cioè a pari poteri con lo Stato una condizione inaccettabile per il Ministro delle Imprese Adolfo Urso che in Parlamento ha accusato il socio di non rispettare gli impegni e di volere privilegi, promettendo invece un cambio di equipaggio per sostenere la produzione e i posti di lavoro per un periodo necessario a trovare un altro partner industriale, in pratica una nazionalizzazione a tempo cioè fino a quando non si troverà un nuovo socio privato.