Resta incerto il futuro dell'ex Ilva. Il Governo è pronto a mettere 320 milioni di euro per evitare che il gruppo siderurgico chiuda i battenti, ma il socio privato, il colosso Arcelor-Mittal, non è disposto a sborsare altri quattrini, in quella che da tempo ormai si chiama Acciaierie d'Italia. Lo stabilimento di Taranto, dove sono impiegati oltre 8.000 degli 11.000 operai dell'azienda, non è strategico per la multinazionale franco-indiana: la produzione è al lumicino, i creditori aspettano di essere pagati e le forniture di gas continuano solo perché l'ha disposto la magistratura. La liquidazione è dietro l'angolo e, di conseguenza, il Governo, socio dell'acciaieria tramite Invitalia, ha proposto quanto era nell'aria e cioè: aumento della quota pubblica dal 38% al 66%. Tutto questo durante un incontro coi vertici di Arcelor-Mittal, che si è concluso con una rottura visto che, secondo quanto riferito da Palazzo Chigi, la multinazionale non vuole impegnarsi in qualità di socio di minoranza. Si preannuncia una battaglia legale, ma la strada del salvataggio pubblico, l'ennesimo, sembra sempre più concreta. L'aiuto dello Stato, in ogni caso, è solo una toppa. Per il rilancio servirebbe oltre un miliardo e qualcuno del mestiere che riesca a riportare gli impianti a regime, garantendo la sicurezza dei lavoratori e la tutela dell'ambiente. In pratica un nuovo partner privato che prenda le redini e fissi un termine a quella che dovrebbe essere una nazionalizzazione a tempo determinato.