S'ingarbuglia ancora di più la vicenda dell'ex Ilva dopo che il matrimonio fra lo Stato e Arcelormittal va verso lo scioglimento con un presumibile contorno di battaglie legali. La multinazionale franco-indiana ha la maggioranza di Acciaierie d'Italia, il gruppo siderurgico che ha il suo fulcro a Taranto dove però non vuole più investire nemmeno come socio di minoranza dopo che il Governo ha proposto di aumentare la sua quota, detenuta tramite in Invitalia al 66% con un'iniezione di 320 milioni sufficienti a pagare i creditori e a non chiudere i battenti. Stando così le cose gli scenari che si aprono sono ipoteticamente numerosi, ma uno su tutti sembra quello più probabile e cioè il commissariamento. Lo Stato potrebbe infatti mettere in amministrazione straordinaria l'azienda facendo leva sulla rilevanza strategica degli impianti e in questo modo prendere il timone. L'operazione richiederebbe oltre un miliardo solo per altoforno e stabilimenti a cui aggiungere i denari per garantire il futuro, non solo il proseguimento della produzione ora rasoterra ma anche investimenti per assicurare la sicurezza dei lavoratori, secondo i sindacati precaria, e la tutela ambientale con la riconversione della fabbrica. In pratica un nuovo salvataggio pubblico, l'ennesimo, con strascichi giudiziari all'orizzonte perché Arcelormittal rivendica di aver fatto negli anni scorsi la sua parte e potrebbe chiedere risarcimenti molto onerosi. Per evitare comunque il peggio e la perdita di 20mila posti di lavoro, tra impiegati dell'ex Ilva e indotto, la strada della nazionalizzazione appare la più probabile. Un ritorno allo Stato, erano gli anni 60 quando a Taranto nacque l'Italsider, che dovrebbe essere temporaneo, il Governo starebbe cercando un nuovo partner privato per dare un futuro all'acciaio in Italia, ma su nomi e tempi non c'è certezza.