Nuovo passo avanti in direzione di una tassa minima globale da far pagare alle grandi multinazionali. Dopo un primo accordo di massima, il mese scorso al G7, ora 130 Paesi hanno detto "sì" alla proposta. Tra i favorevoli all'intesa firmata in sede OCSE, organizzazione che raccoglie i Paesi più industrializzati, tutti gli aderenti al G20 compresi Cina, Russia e India mentre, al momento, in Europa i "no" sono tre: quelli di Irlanda, Ungheria ed Estonia. La proposta fissa al 15% l'aliquota minima che dovranno pagare di tasse, sui propri profitti, colossi del calibro di Amazon, Facebook, Google e tutti gli altri che hanno un fatturato annuo di almeno 750 milioni. Questo non significa che ogni singolo Paese sarà obbligato ad applicare questa aliquota ma, ad esempio, se una multinazionale decide di avere la sua sede fiscale in un Paese che applica una tassa del 12,5%, o anche più bassa, il Paese di origine di quella multinazionale potrà imporle di pagare la differenza. In questo modo per molte imprese non ci sarebbe più vantaggio ad avere la propria sede in un paradiso fiscale. Ma non si tratta solo di stabilire un'aliquota minima, si tratta di fissare nuove regole su dove devono essere tassati i profitti delle multinazionali. In base all'accordo gli utili delle grandi aziende con ricavi superiori ai 20 miliardi di euro saranno tassati nel Paese dove vengono realizzati. Questo permetterà di redistribuire, tra i diversi Paesi, 100 miliardi di dollari di profitti. Prima che la Global Minimum Tax veda la luce bisognerà però aspettare il via libera definitivo da parte del G20 atteso per il 9 e 10 luglio, mentre l'effettiva entrata in vigore dovrebbe avvenire nel 2023. Secondo i calcoli dell'OCSE la tassa minima globale sulle multinazionali porterà, nelle casse dei vari Paesi, 150 miliardi di dollari di entrate fiscali e il grosso se lo dovrebbero spartire Stati Uniti ed Europa, mentre le maggiori entrate per l'Italia sono stimate in meno di 3 miliardi.