C'è il rischio che molti italiani paghino più tasse di quanto si aspettassero, nonostante il taglio dell'Irpef voluto dal Governo. Si tratterebbe di un anticipo perché lo Stato nel 2026 restituirebbe quei soldi, ma il paradosso che peserebbe sulle tasche di lavoratori e pensionati resta. Dal 2024 i livelli dell'imposta sui redditi sono stati ridotti da quattro a tre per abbassare il peso del fisco. Per chi però quest'anno deve pagare l'acconto sull'Irpef, è previsto per legge che si applichi il vecchio regime, cioè i quattro scaglioni in vigore fino al 2023, che erano più severi. In pratica sull'acconto che è una sorta di anticipo su quanto si deve allo Stato, non si godrà del taglio delle tasse. Discorso analogo per le detrazioni per i dipendenti si considerano quelle meno generose in vigore fino a due anni fa. Il tutto è dovuto al fatto che la sforbiciata dell'Irpef in principio era valida solo per un anno, per cui sull'acconto si erano lasciate le regole esistenti, senza poi cambiarle quando la riforma è diventata permanente. Potrebbe così accadere che per esempio un operaio che ha diritto a un rimborso, si ritrovi nella prossima dichiarazione dei redditi uno sconto più magro, o che abbia un debito da saldare. Secondo la CGIL, l'esborso aggiuntivo oscillerebbe fra i 75 e i 260 euro. E poiché assicura il sindacato, gli italiani potenzialmente coinvolti sarebbero milioni, nelle casse pubbliche arriverebbero 4,3 miliardi, cioè la stessa cifra impegnata per tagliare l'Irpef. Il Governo finora non ha smentito l'entità dei soldi in ballo, che, come detto, restituirebbe nel 2026, a meno che non intervenga prima per correggere l'inghippo, ma bisogna fare presto perché la prima rata dell'acconto scade a giugno.