Si stringono i tempi per il recovery plan italiano: entro il 30 aprile l'Italia, che è il maggior beneficiario degli aiuti europei di next Generation EU deve presentare il piano all'Europa. Vediamo, allora, quanto è stato fatto finora dal Governo uscente. Il Consiglio dei ministri a gennaio ha approvato e inviato alla commissione una bozza, bozza attualmente al vaglio del Parlamento, ma che ha fatto storcere il naso a Bruxelles. Per bocca del commissario Gentiloni l'Europa ci ha detto che il piano deve essere più dettagliato, sia per quanto riguarda i tempi di esecuzione che per i rendimenti attesi dalle opere da finanziare e che mancano informazioni sulle riforme che devono accompagnarlo dalla giustizia al fisco, dalla pubblica amministrazione al lavoro. Il piano va completamente riscritto, ha detto Renzi, ma anche senza arrivare a questo estremo è certo che a Draghi spetta un compito impegnativo, nonostante i tempi davvero stretti. Anche perché nella versione attuale manca ancora un nodo fondamentale: non è indicato infatti quale sarà la struttura che vigilerà su come saranno spesi i soldi. La suddivisione dei finanziamenti tra i grandi capitoli di spesa, non dovrebbe subire grandi revisioni, visto che è dettata anche dei paletti imposti da Bruxelles, ma qualche ritocco è possibile anche perché, ad esempio, le risorse destinate all'economia verde ammontano solo al 31% del totale, mentre il target UE è del 37%. Com'è noto, Draghi ha insistito in passato sul fatto che il debito debba essere produttivo e che i sussidi vadano bene per l'emergenza, ma non possano sostituire gli investimenti. Nell'ultima versione del recovery plan italiano i bonus sono diminuiti e gli investimenti aumentati, ma si fermano comunque al 70% del totale e si finanzia una misura come il cash back, che già aveva causato malumori nella scorsa maggioranza. Il cantiere del recovery plan, insomma, è più che mai aperto.