Nonostante alcune carte siano state scoperte, resta molto incerta la partita sul futuro dell'ex Ilva e gli scenari ipotizzabili sono molteplici, dal peggiore, la chiusura, alla vendita a nuovi proprietari, passando da un forte ridimensionamento del gruppo dell'acciaio. Palazzo Chigi sarebbe disposto a venire incontro agli attuali gestori, la multinazionale ArcelorMittal, per quanto riguarda il cosiddetto scudo penale. In pratica si potrebbe ripristinare la tutela giuridica che metta al riparo i vertici dell'azienda, mentre attuano il risanamento ambientale di Taranto. Misura che, dopo diversi cambi di orientamento politico, è stata cancellata dal Parlamento all'inizio di novembre. Lo scudo però non è il solo motivo che ha spinto il colosso indiano a restituire le chiavi. ArcelorMittal vuole riscrivere il contratto col quale un anno fa ha preso in mano il polo siderurgico. In sintesi, vorrebbe ridurre la forza lavoro, 5.000 posti in meno, quasi tutti nella fabbrica pugliese, in modo da dare un taglio alla produzione, in un contesto di mercato in difficoltà, a causa dei dazi, le minori commesse del settore automobilistico e la concorrenza cinese. 5.000 esuberi vogliono dire che l'attuale organico dell'ex Ilva avrebbe quasi dimezzato, l'acciaio sfornato ogni anno, calerebbe a quattro milioni di tonnellate, una quantità decisamente più bassa rispetto all'obiettivo di sei milioni fissati nel piano industriale. In pratica si tratterebbe di fermare quella che è chiamata area a caldo di Taranto, cioè gli altoforni, uno dei quali è al centro dell'inchiesta giudiziaria, dove si produce materialmente l'acciaio, mandano avanti solo le altre lavorazioni come quelle di rifinitura. Il Governo respinge l'idea di perdere migliaia di posti lavoro e non sembra al momento disposto a tamponare una tale emorragia con la cassa integrazione. Anche per questo, si starebbe cercando un piano B, una nuova cordata di imprese disposte a prendere in carico la più grande fabbrica d'acciaio in Europa.