Sembra senza fine la vicenda dell'Ilva; una storia lunga e tormentata, scandita da crisi industriali, inchieste giudiziarie e interventi della politica, con il fulcro a Taranto, dove si trova il principale stabilimento del colosso siderurgico per quella che è considerata la più grande acciaieria d'Europa. Il punto di svolta di questa storia arriva con le privatizzazioni. Sotto l'insegna dell'Italsider, a Taranto lo stabilimento c'è dal 1961 e rimane in mano pubblica fino al ’95, quando passa alla famiglia Riva. La fabbrica viaggia a pieno ritmo e Nel 2011 sforna 8 milioni di tonnellate di acciaio. L'anno dopo, però, esplode l'inchiesta per disastro ambientale. Sotto accusa le diossine e altre sostanze tossiche che sbuffano dalle ciminiere. Scattano i sequestri e nel 2013 gli stabilimenti finiscono in mano ai commissari. Per garantire la produzione e il risanamento ambientale i vari Governi che si susseguono firmano decreti e assegni. Il gruppo resta in mano agli amministratori straordinari per più di 4 anni. L’Ilva è considerata un'industria di interesse strategico, ma per anni nessun privato sembra volerla. Mentre migliaia di operai restano nel limbo della cassa integrazione, si pensa alla nazionalizzazione o alla vendita a pezzi. Poi, nel 2017, l'asta internazionale e l'offerta di ArcelorMittal. La multinazionale indiana mette sul piatto 4,1 miliardi di euro, dei quali 3 per investimenti produttivi e ambientali. Nel settembre del 2018 l'accordo coi sindacati il Governo gialloverde. Degli oltre 13 mila dipendenti se ne salavano più di 10 mila, dei quali 8.200 a Taranto. Nel novembre dell'anno scorso inizia la nuova era dell’Ilva, che fino al 2020 però sarà solo in affitto e le difficoltà arrivano dopo pochi mesi. A giugno ArcelorMittal annuncia la cassa integrazione “perché”, sostiene, “il mercato va male”. Ad aggiungere benzina è la questione dell'immunità penale. La multinazionale è pronta a gettare la spugna se non verrà mantenuto lo scudo che mette al riparo i suoi manager da indagini sull'attuazione del Piano di Salvaguardia Ambientale risalente al 2015; scudo che pochi giorni fa il Parlamento ha fatto saltare.