Non ci sono dettagli sugli accordi economici fra Italia e Cina ma sappiamo che uno dei punti centrali riguarda le auto elettriche: un veicolo su cinque di questo tipo venduto in Europa è prodotto nel paese del Dragone. Bruxelles ha deciso di aumentare le tasse all'importo di macchine meno inquinanti perché la Cina sovvenziona con soldi pubblici la sua industria delle quattro ruote, cosa che nel vecchio continente è illegale. Ma abbiamo bisogno di Pechino e per questo Roma sta cercando di stringere intese affinché i costruttori cinesi aprano fabbriche sul nostro suolo per sfornare utilitarie verdi dal costo accessibile. In questa maniera in pratica, si aggirerebbe le nuove tasse alla dogana che finiscono per alzare i prezzi per i consumatori e avrebbe beneficio anche l'industria che ci ruota intorno, quella che fornisce componenti meccanici. Da mesi, il governo poco convinto che Stellantis aumenterà la produzione entro i nostri confini, tessa rapporti con marchi cinesi; una strategia già avviati in Spagna dove si riporterà in vita un vecchio stabilimento di Barcellona ed in Ungheria dove se ne sta costruendo uno nuovo. Insomma, nonostante i dazzi, le capitali continentali tendono la mano a Oriente. Anche chi non ha mai aderito alla nuova via della seta, il patto commerciale del 2019 disdetto dal nostro governo l'anno scorso. Parigi ha stretto la scorsa primavera una serie di accordi con Pechino fra i quali, quelli siglati per le batterie elettriche. La Cina è il maggior produttore mondiale. Così come Berlino, col cancelliere Olaf Scholz, pressato in casa dagli industriali, non solo quelli dell'auto, che ad Aprile ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di volersi sganciare dal primo esportatore mondiale.