Chi coltiva la terra chiede di pagare meno tasse, meno vincoli per la tutela ambientale e meno burocrazia. Protestano coi trattori, mentre all’interno del Governo non si trova una chiara linea comune e le principali organizzazioni del settore agricolo si trovano esse stesse spiazzate. Per capire perché, è utile andare a vedere qual era la posizione delle sigle più rappresentative del comparto agricolo quando si dibatteva l’ultima manovra o a Bruxelles si approvavano le regole oggi contestate. A novembre, quando a Roma si discuteva la legge di Bilancio risuonavano gli applausi. Coldiretti, per esempio, lodava le scelte di Palazzo Chigi per il taglio dei contributi ai lavoratori, per i 600 milioni della Carta per gli acquisti di beni alimentari e per le varie agevolazioni al settore. Analoga promozione da parte di Confagricoltura per il sostegno a imprese e consumi e un generale apprezzamento arrivava dai produttori di Copagri. Giudizi nero su bianco, nei documenti dell’audizioni depositati in Parlamento, dove sì, ci si lamenta per il ripristino dell’imposta sui terreni agricoli ma si sposa la linea governativa del: le risorse sono poche e bisogna stringere la cinghia. D’altra parte a chi lavora nei campi erano stati riservati quasi tre miliardi in più grazie alle modifiche al Pnrr volute dall’Esecutivo e poi approvate dall’Europa. Sono passati appena due mesi da quando quei maggiori finanziamenti all’agricoltura sono diventati definitivi suscitando il plauso delle associazioni di settore. Quanto a Bruxelles, oggi è contestata con forza da agricoltori e Governo per la sua politica agricola comune. Ma l’ultima riforma di queste regole, era il 2021, è passata all’Europarlamento senza alcuna opposizione dai principali partiti italiani compresa l’attuale maggioranza di Governo e con i giudizi benevoli delle associazioni. Ecco perché oggi è così difficile inquadrare il perimetro della protesta e capire chi rappresenti davvero gli agricoltori scesi in strada.