Se Mario Draghi avrà il timone di Palazzo Chigi, uno dei suoi primi compiti sarà quello di tracciare la rotta verso la ripresa economica. Quale sarà la sua strategia? Possiamo trovare qualche indizio nel documento del G30 di dicembre, presieduto proprio da Draghi. Il gruppo di esperti di economia internazionale formula una serie di suggerimenti da leggere anche alla luce del recovery fund, gli aiuti europei contro la crisi di cui l'Italia ha la fetta più grande. Tutte queste risorse, si osserva, si dovrebbero utilizzare soprattutto per gli investimenti, a maggior ragione se si tratta di un Paese come il nostro con un alto debito pubblico. I progetti dovrebbero essere quelli che possono produrre ricchezza e benessere sociale, come quelli che danno linfa per esempio alle nuove tecnologie. Questo vuol dire destinare meno soldi a bonus di vario tipo, circostanza che il governo uscente ha fatto nell'ultima versione del piano italiano per la ripresa. Altro punto cruciale riguarda le imprese. I governi europei, il nostro compreso, stanno sostenendo le aziende. Ma, è l'opinione del G30, i denari non dovrebbero essere sprecati per chi è condannato al fallimento. Come dire, alla lunga gli aiuti a pioggia senza capire chi ne ha davvero bisogno, sono controproducenti perché pesano su tutti i contribuenti con un rischio di foraggiare aziende zombie. Inoltre i governi, propongono gli analisti, dovrebbero incoraggiare le trasformazioni aziendali, che, si precisa, comporta che alcune imprese chiudano e nuove aprano. Una distruzione creativa viene definita, dove i lavoratori che perderanno il posto dovranno essere assistiti dalla mano pubblica per trovare un altro impiego. Un'idea a noi finora estranea se pensiamo al largo ricorso alla cassa integrazione e al blocco dei licenziamenti, in scadenza peraltro, a fine marzo. Fra le altre ricette c'è anche quella che riguarda l'intervento dello stato per salvare le imprese sull'orlo del baratro. La tesi è che il mercato venga lasciato libero e che i governi debbano andare in soccorso solo quando un fallimento comporta alti costi sociali. Non proprio la stessa filosofia vista di recente nel nostro Paese, con il massiccio intervento pubblico in vari settori dell'economia.