La partita sul lavoro adesso si gioca su due fronti. Il primo è capire cosa accadrà dopo lo sblocco dei licenziamenti del 1 luglio, che riguarda le imprese più grandi delle industrie e delle costruzioni, con l'eccezione del tessile. Il secondo è quello della Riforma degli Ammortizzatori Sociali, cioè quella serie di strumenti che protegge chi perde il posto e che il Governo ha promesso di presentare entro fine luglio. Per quanto riguarda la fine del divieto di lasciare a casa i dipendenti, rimasto in vigore per 16 mesi, è difficile fare previsioni. Gli ultimi dati ci dicono che la situazione è solo in lieve miglioramento. Ci sono già oltre 700 mila persone in meno con un lavoro, rispetto al febbraio 2020, quando la pandemia è arrivata nel nostro Paese. E l'occupazione sta crescendo quasi esclusivamente grazie ai precari, la categoria che ha subito di più la crisi. A maggio su 99 mila nuovi posti, solo 6 mila erano a tempo indeterminato. Questo boom di lavoro a tempo, continuerà? Le aziende che adesso hanno le mani più libere e da novembre lo saranno tutte, licenzieranno e assumeranno con contratti brevi? Complicato dirlo. Le stime sulle possibili perdite di posti, non hanno certezze. Dagli oltre mezzo milione, che si possono desumere da uno studio di Banca d'Italia, ai circa 70 mila previsti dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio. Per questo la Riforma, sulla quale premono sia industriali che sindacati, appare urgente. Nel menù c'è l'ampliamento della Cassa Integrazione, il Salario Minimo Legale ma anche e soprattutto, il potenziamento di tutti quegli strumenti dai Centri per l'Impiego alla formazione, che servono per aiutare a trovare un lavoro. Più politiche attive e meno sussidi, ha ricordato anche di recente Mario Draghi. Un'idea sulla quale non sarà facile trovare un accordo tra politici, industriali e sindacati.