Il 31 marzo scade il blocco dei licenziamenti in vigore da quasi un anno. E se non sarà rinnovato, il timore è che ci sia un'emergenza sociale pronta a esplodere. Vietare alle aziende di licenziare per motivi economici è stato uno dei primi provvedimenti per sostenere l'economia durante il primo lock down, insieme alla decisione di estendere la cassa integrazione. Grazie a quest'ultima misura l'INPS ha finora versato 19 miliardi di euro a 7 milioni di lavoratori. Secondo la Banca d'Italia in assenza di provvedimenti l'anno scorso si sarebbero registrati 700000 licenziamenti economici, il 30% in più del normale. Nessun altro Paese in Europa ha offerto un grado di protezione così elevato ai dipendenti, quasi tutti i governi si sono limitati a predisporre schemi simili alla cassa integrazione. Eppure, nonostante queste misure, l'anno scorso sono stati bruciati quasi 450000 posti di lavoro. Il prossimo Governo dovrà decidere se dare alle aziende la possibilità di tornare a licenziare come chiede Confindustria o estendere il divieto, come chiedono i sindacati. Su come potrebbe comportarsi un esecutivo a guida Draghi, di indizi ce ne sono. A dicembre, ad esempio, l'ex presidente della Bce ha sostenuto che i soldi dei contribuenti non andrebbero sprecati per salvare aziende, soprattutto quelle grandi che non hanno nessuna possibilità di stare sul mercato. Lo stato deve però occuparsi dei lavoratori che perdono il posto, offrendo loro protezione e la possibilità di riqualificarsi e trovare un nuovo impiego. Insomma, anche se è difficile pensare che questo possa avvenire già da marzo il futuro esecutivo potrebbe puntare più sugli ammortizzatori sociali, magari riformati, che sul blocco dei licenziamenti.