Un professionista, un colletto bianco, si presenta a una società che gestisce fondi europei. Dice che lavora per un gruppo di manager e imprenditori. Propone grossi progetti di investimento nel campo dell’energia e chiede in prestito i soldi assegnati da Bruxelles. Che probabilmente avrebbe fatto sparire in qualche paradiso fiscale, se non fossero stati scoperti i suoi legami con la criminalità organizzata. Questo è uno degli esempi di come oggi preferisce fare gli affari la mafia. Un caso vero, raccontato nell’ultimo rapporto dell’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, dove si avverte: Cosa Nostra e le altre organizzazioni di questo tipo potrebbero mettere le mani sul Piano Nazionale di Ripresa, il programma da oltre 200 miliardi finanziato quasi per intero dall’Unione Europea. Sospetti ce ne sono tanti: imprese che, per esempio, poco prima della richiesta di finanziamenti cambiano proprietà oppure che non hanno capacità economiche adeguate per sostenere appalti costosi. E il pericolo è legato anche a iter burocratici che si vogliono rapidi, per mandare avanti le opere e concluderle in tempo, col rischio - però - che i controlli si rivelino superficiali. I cantieri miliardari previsti nel Pnrr fanno gola e va mantenuta la guardia alta, ci hanno detto istituzioni, investigatori e magistrati da quando sono iniziati ad arrivare i denari dall’Europa. E la mafia siciliana da molti anni spara poco, preferisce il business: dalla finanza alle criptovalute, passando per le nuove tecnologie. Ma anche cantieri, supermercati, parchi eolici e immobili, dove – ci dicono le indagini - avrebbe investito Matteo Messina Denaro, punto di riferimento e garante di una multinazionale del crimine che da tempo non porta più coppola e lupara.