L'altro fronte del conflitto fra Israele e l'Iran è quello energetico. La guerra ha già alzato le quotazioni del petrolio, ma è ancora presto per capire che effetti avrà dalle nostre parti. Gli aumenti dei prezzi della benzina nei distributori italiani nell'ordine di un paio di centesimi al litro, fanno sorgere il sospetto di speculazioni, ma c'è comunque il timore, che ulteriori tensioni in Medio Oriente possano avere ripercussioni economiche. Fra le incognite principali c'è quella di un'interruzione dei flussi commerciali attraverso lo Stretto di Hormuz. Le navi cariche di petrolio e gas liquefatto, tra cui quello del Qatar, secondo fornitore dell'Italia, continuano ad attraversarlo. L'Iran non ha bloccato il traffico attraverso quello che è uno dei più importanti canali di trasporto al mondo di idrocarburi, l'ingresso e l'uscita del Golfo Persico, dove si affacciano alcuni dei maggiori produttori. Un quinto del consumo globale di greggio e metano passa da qui. Teheran non dovrebbe avere interesse a sbarrare la strada, ne risentirebbero le vendite del suo oro nero che finisce quasi tutto in Cina. Ma una rappresaglia non è esclusa e una mossa di questo tipo farebbe schizzare i prezzi di greggio e metano, con rincari anche qui da noi, non solo per i carburanti, ma in generale per la produzione di energia. Se ciò accadesse diventerebbe più caro tutto con una nuova corsa dell'inflazione. Il pericolo per le forniture interessa anche un'altra area cruciale del Medio Oriente, il Mar Rosso. Dall'accesso meridionale, lo stretto di Bab el-Mandeb transita il 12% dei commerci mondiali e le navi porta container sono nel mirino dei ribelli Huthi dello Yemen finanziati dall'Iran. Un tratto di mare, così come quello di Hormuz, guardato a vista dalle flotte militari americane ed europee. Ci sono anche navi italiane, per garantire che tonnellate di prodotti arrivino a destinazione non compromettendo l'economia dell'Occidente.