Elon, Elon, mi manca. Dunque Musk, classe '71, ex Mister PayPal, "tecnoking" di Tesla (è proprio questa la sua qualifica ufficiale in azienda, non CEO ma tecnoking), capitan Space X con vista su Marte, 200 miliardi di dollari più o meno in tasca, vuole Twitter. Non che voglia scaricarlo, l'app ce l'ha già e la usa pure tanto, 81 milioni di follower, diverse polemiche per l'uso che ne fa, molti lovers, molti haters, i no-Musk in fondo nascono con lui, vuole proprio comprarlo. Cioè vuole sbloccarlo, come ha detto, e in nome di una maggiore libertà di espressione toglierlo dal mercato e farlo tutto suo. Un delisting libertario insomma che punta dritto a una questione: puoi contribuire alla libertà di parola se sai che comunque l'ultima è la tua? Elon ci prova e non lo fa per soldi perché quelli non gli mancano e perché Twitter, nato nel 2006, non è propriamente una gallina dalle uova d'oro nel pollaio dei social network, anzi. Ma è quello che conta di più, che influenza, che infiamma, che viene usato dalla politica, della finanza, dal giornalismo, da lui. Musk è un personaggio bizzarro, le sue posizioni sul Covid, le canne fumate in diretta, anzi la sua fissa per il 4 e il 20, che negli States sono una specie di codice per chi ama la marijuana (le 4:20 l'ora per fumarla, il 20 aprile il giorno che la celebra, e l'offerta per Twitter che non a caso è di 54,20 dollari per azione). Il suo ultimo figlio lo ha chiamato X Ash A12 cioè una X, una A e una I, che si legge Ash, una A e un 12, insomma non proprio John ecco. Ora nel suo mare di hi-tech Elon Musk punta a Twitter e la domanda che ha scatenato è molto attuale: vuole partecipare alla libertà dei social o vuole avere il potere di farla fallire?.























