Una tassa sulla ricchezza, è questa la patrimoniale, un prelievo che non dipende da quanto si guadagna, ma soltanto dal fatto di possedere case, terreni, azioni, quote di società, barche, auto di lusso, opere d'arte, gioielli e quattrini depositati in banca. Un'idea ricorrente in Italia ma mai applicata sulle grandi fortune e ora tornata alla ribalta con la proposta della Cgil, di colpire con un'imposta dell'1,3% i 500mila contribuenti che hanno un patrimonio di almeno 2milioni di euro. Garantirebbe 26 miliardi, molto di più del valore della prossima manovra dove non c'è e non ci sarà, viste le parole di Giorgia Meloni, alcuna patrimoniale. La proposta del sindacato prende spunto da uno studio del 2024 di un gruppo di economisti italiani, che hanno messo in luce come il sistema fiscale può accentuare le disuguaglianze, facendo pagare in proporzione più tasse a un lavoratore rispetto a chi vive di rendita. Facciamo un esempio il signor Rossi appartiene al ceto medio e circa un terzo del suo stipendio se ne va in tasse. Il signor Bianchi, che incassa 2 milioni l'anno grazie a investimenti finanziari, interessi su titoli e affitti di case, versa solo un quinto dei suoi profitti. Rossi quindi paga in percentuale più di Bianchi che, si porta più denari alle casse pubbliche, ma è meno tassato. I paperoni possono finire per pagare una percentuale più bassa di quanto ci si aspetterebbe da un sistema fiscale progressivo come quello in vigore, dove chi guadagna di più è chiamato a contribuire in modo maggiore a Sanità, Istruzione, Trasporti e a tutte le spese a carico dello Stato. La questione del fisco che premia gli ultraricchi non tocca solo il nostro Paese, se ne discute da tempo per introdurla a livello internazionale, ma finora non se n'è fatto nulla. Chi si oppone argomenta che è difficile individuare i patrimoni da favola, che c'è il rischio di una fuga di capitali all'estero e che si scoraggerebbero gli investimenti lì dove i super ricchi sarebbero tassati di più. .























