Riparte il cantiere sulle pensioni con l'obiettivo di terminare la stagione degli interventi tampone, cioè mettere fine alla girandola di deroghe che periodicamente ridisegnano il sistema per avere l'assegno dell'INPS, meccanismi che come quello attuale col quale si può lasciare ma solo nel 2023 il lavoro con 41 anni di contributi e 62 di età, anticipano il requisito anagrafico di 67 anni stabilito, oltre 10 anni fa, con la Legge Fornero, tanto che nel nostro paese l'età media in cui si va in pensione è di 63 anni e mezzo. Presto per dire quale sarà il punto di approdo del confronto fra Governo e sindacati al primo di una lunga serie di incontri dove non sono mancate le tensioni. Il leader della CGIL Maurizio Landini lamenta che non ha avuto risposte, né sui tempi né sulle risorse, ricordando che i sindacati vogliono raggiungere un accordo entro aprile, quando l'esecutivo dovrà decidere come impegnare i soldi pubblici. La Ministra del Lavoro Marina Calderone parla di partenza proficua, della necessità di criteri certi ma avrebbe anche lanciato una stoccata ai sindacati per il ritardo con cui avrebbero inviato le loro proposte. CGIL, CISL e UIL chiedono che si possa andare in pensione a partire dai 62 anni e senza troppe penalizzazioni sull'assegno, oppure con 41 anni di contributi a prescindere dall'età, soluzioni che non appaiono lontane da quelle caldeggiate in alcuni settori della maggioranza ma che devono fare i conti con le risorse disponibili. Cambiare con questi parametri vorrebbe dire aumentare una spesa che secondo itinerari previdenziali oggi è sostenibile ma sulla quale pesano con una forte crescita negli ultimi anni i costi per l'assistenza, indennità per invalidi, pensioni sociali e tante altre misure fra le quali il reddito di cittadinanza, non coperte ovviamente dai contributi come le pensioni di anzianità.