La parola “salvataggio” il comunicato del Governo non la usa, ma l'urgenza con cui da venerdì a domenica sera si sono mossi la Banca d'Italia e l'Esecutivo rende bene l'idea di quanto fosse critica la situazione della prima banca del sud e di quali fossero i rischi. Una crisi che ha riproposto il copione già visto in altri casi. Crisi economica e di finanziamenti concessi in modo imprudente hanno fatto saltare i conti della banca perché troppi prestiti non vengono più restituiti. Con il commissariamento la Popolare di Bari ha più tempo per risolvere i suoi problemi. Con il decreto ha trovato chi ci metterà i soldi. Lo Stato interviene con una sua banca. Si tratta di Mediocredito Centrale, a totale controllo pubblico, ma fino a ieri troppo piccola per il salvataggio. Ecco, allora, 900 milioni di soldi pubblici con cui Mediocredito potrà entrare in partita. Nelle intenzioni del Governo non si tratta solo di salvare la Popolare di Bari, ma di creare una banca d'investimenti per trainare il credito e l'economia del sud, ma, visti anche i vincoli europei, lo Stato da solo non basta. E, allora, sul modello di quanto successo con la Cassa di risparmio di Genova, interviene anche il Fondo interbancario di tutela dei depositi. E' il salvadanaio in cui tutte le banche versano i soldi in caso una di loro entri in crisi. Saranno questi due soggetti che, una volta definito un percorso credibile di risanamento, garantiranno quel miliardo abbondante che serve a tenere in piedi la Popolare di Bari. Se il salvataggio andrà in porto, i correntisti saranno al sicuro e, peraltro, sotto i 100 mila euro lo sarebbero stati in ogni caso. Nessun grande rischio anche per chi ha prestato i soldi alla banca sotto forma di obbligazioni ordinarie. Rischi maggiori li corre chi ha in tasca l'obbligazione subordinata della Popolare di Bari, che scade a fine 2021. Sono 213 milioni di euro. Difficile dire chi li ha in mano, ma, visto il taglio minimo dell'investimento, potrebbe trattarsi anche di molti piccoli risparmiatori. Chi ci rimetterà, quasi di sicuro, sono le 70 mila persone che hanno in mano le azioni. Per questi soci il rischio di grandi perdite è quasi certo, a meno di ottenere in futuro indennizzi o risarcimenti.