Mettere mano al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per modificarlo è più facile a dirsi che a farsi. È l'Europa a ricordarlo, solo in casi eccezionali il programma di spesa degli aiuti europei anticrisi, il cosiddetto Recovery Fund, può essere cambiato. E c'è di più, ogni aggiustamento deve avere il via libera della Commissione e poi del Consiglio Europeo. Un complesso iter che, oltretutto, si attiva solo se lo stato, che vuole la revisione, dimostra che non può attuare il piano per circostanze oggettive. Insomma, sembra proprio che si siano volute blindare le decisioni prese qualche mese fa quando l'Italia, dopo una marcia a tappe forzate, ha presentato il suo "Italia domani", oltre 200 miliardi di euro, dei quali più di 190 di denari comunitari, suddivisi fra prestiti e sovvenzioni. Una montagna di soldi (siamo il paese che riceve più quattrini dall'Europa) da utilizzare fino al 2026, ma dati a rate e solo se si c'entrano numerosi obiettivi. Ma perché si parla di cambiare quanto già concordato? L'ipotesi è stata lanciata dal Ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e il motivo è l'alto costo delle materie prime per le costruzioni. Sono saliti alle stelle i prezzi di acciaio, rame, legno e il settore dell'edilizia, da mesi, lamenta che i costi da sostenere sono troppo alti. Il rischio maggiore è che i bandi per realizzare le opere risultino non convenienti per chi deve muovere le ruspe. Ma è anche vero che esistono già degli anticorpi. È lo stesso Giovannini che ricorda come ci siano dei meccanismi per rivedere il prezzo di aggiudicazione degli appalti in base ai rincari, anche dopo che i lavori sono iniziati, per favorire le imprese. E le regole europee, inoltre, prevedono un adeguamento all'inflazione. Bisognerà vedere se tutto questo riuscirà a contenere il peso degli aumenti o se sarà necessario chiedere a Bruxelles di cambiare le carte in tavola.