C'è un buco nel reddito di cittadinanza, chi ha scritto la legge sul sussidio contro la povertà non ha pensato che qualcuno potesse poi rinunciare. Il Governo si starebbe muovendo per colmare questa falla e presto, quindi, potrebbe arrivare una risposta formale in grado di spiegare come fare disdette e quali saranno le conseguenze. Nel frattempo il Presidente dell'Istituto di Previdenza esclude che per questi casi possano esserci multe e minimizza sui numeri circolati negli ultimi giorni. Secondo Pasquale Tridico non è possibile che 130.000 beneficiari abbiano intenzione di fare un passo indietro aggiungendo che ci sono solo una decina di casi di persone che hanno chiesto informazioni su un possibile dietrofront. Le domande presentate per avere il sussidio hanno superato quota un milione e si stima che i tre quarti saranno accolte. Non tutte queste richieste sono state già esaminate. Gli ultimi dati ci dicono che quasi 700.000 istanze, ciascuna delle quali può riguardare un individuo o una famiglia, sono state passate al vaglio e, di queste, 193.000 sono state respinte. È ipotizzabile che nella prima fase, complice la fretta di far partire la misura di Welfare, non si sia andati troppo a fondo con i controlli. La prospettiva che ci possa essere una stretta e quindi il rischio di incorrere in sanzioni, come il carcere, potrebbe spingere qualche beneficiario a voler restituire la carta elettronica con la quale si spende il sussidio. Si tratta di un'ipotesi che potrebbe risultare più concreta per chi ha ricevuto un aiuto economico di poche decine di euro, soprattutto se dovrà presentarsi in un centro per l'impiego per seguire un corso di formazione o svolgere un lavoro socialmente utile. Impegni che potrebbero risultare ancora meno convenienti nel caso in cui si abbia anche un lavoretto in nero. C'è da dire comunque che i beneficiari chiamati a cercare attivamente un posto, almeno per il momento, sono una minoranza. Solo il 24% di chi già percepisce il reddito avrà questo obbligo che scatterà con un ritardo sui tempi previsti a fine giugno. Non è un dato che stupisce più di tanto. Prima che la misura fosse varata, si era stimato tra un quarto e un terzo la platea delle persone avviabili al lavoro, era quindi noto che la maggior parte di coloro in difficoltà non possono, per motivi di salute o condizioni familiari, svolgere un impiego.