Tensioni sì, terrore no. L’esito delle urne era già stato pronosticato nelle settimane precedenti e gli investitori si erano già mossi di conseguenza. Tra alti e bassi e una diffusa incertezza, i mercati europei hanno chiuso in positivo, complice anche la buona intonazione iniziale di Wall Street. Lo stesso indice milanese ha contenuto il calo, quasi azzerandolo nel finale. Nessun crollo nemmeno per i titoli di Stato, con il differenziale che, dopo una fiammata sopra i 170 punti, si è stabilizzato al di sotto di questa soglia. Andamento simile per l’euro che, dopo una discesa iniziale fino a 1.05, è risalito sopra l’1.07 sul dollaro. Sono i livelli più alti da quasi tre settimane. A soffrire di più soprattutto le banche, con cali robusti, ma senza tracolli, per le due maggiori, Intesa Sanpaolo e UniCredit. Quest’ultima presenta tra una settimana il suo piano industriale: si parla di un aumento di capitale da molti miliardi. La banca fa sapere che il referendum non farà cambiare i piani. Caso a parte il Montepaschi, alle prese con la complessa operazione di rafforzamento. Il CdA di martedì è stato rinviato di tre o quattro giorni per permettere ai possibili investitori, compreso il Fondo del Qatar, dato per possibile leader tra i nuovi soci, di valutare l’evoluzione politica italiana nelle prossime ore, vista l’uscita di scena del principale sponsor dell’operazione, il Governo Renzi. Prima, giovedì 8, arriveranno le decisioni della BCE. Il piano di sostegno ai mercati scade a marzo, probabile un’estensione di almeno sei mesi. Nel frattempo, l’ombrello di Draghi sui nostri bond resta aperto e può ampliarsi, nei limiti delle prerogative della BCE, in ogni momento, specie se la crisi politica dovesse avvitarsi, creando terreno fertile per possibili attacchi speculativi all’Italia.