Quanti lavoratori saranno mandati a casa con la fine del divieto di licenziare che partirà a luglio? Dare una risposta certa a questa domanda non è possibile. Nessuno ha la sfera di cristallo e molto dipenderà dal ritmo al quale marcerà l'economia nei prossimi mesi e da quanto l'epidemia continuerà a mordere. L'ipotesi di ritardare lo sblocco per le imprese del tessile, moda, pelletterie e calzaturiero, fino al 31 ottobre, come già previsto per le piccole aziende, non soddisfa i sindacati che temono un'emorragia di oltre mezzo milione di posti. Una stima che si aggrappa a uno studio della Banca d'Italia del Ministero del Lavoro messo in dubbio però da un'analisi più recente dell'ufficio parlamentare di bilancio. L'organismo indipendente parla di circa 70.000 possibili licenziamenti. Probabilmente la perdita sarà scaglionata nel tempo, si sottolinea, riguarderà perlopiù l'industria e osserva sempre l'ufficio parlamentare si tratta di un numero analogo a quello che si verificava ogni due mesi prima della pandemia. Tutto questo non toglie drammaticità alla situazione, anche perché come detto, nessuna cifra è scolpita nella pietra. Così il Governo ha imboccato la via del compromesso che permetterà al settore tessile di avere altre 17 settimane di Cassa Integrazione Covid, cioè pagata dallo Stato, e ulteriori 13 settimane di cassa straordinaria saranno a disposizione a patto di non licenziare nelle aziende di altri comparti che hanno esaurito gli ammortizzatori sociali. Questo aiuto andrà a beneficio soprattutto di chi è in crisi da tempo. Sono 85 i tavoli aperti dal governo con nomi noti come Whirlpool, Ilva, Embraco, AIitalia. Insomma il divieto inaugurato nel febbraio del 2020 che ha garantito migliaia di lavoratori che rappresenta un unicum in Europa che lo ha criticato non dovrebbe finire in maniera improvvisa ma non sappiamo in ogni caso quanto sarà traumatico.