Tre enormi questioni aperte, almeno tre mesi per risolverle. Placatasi la tempesta degli ultimi giorni, si inizia a ragionare a mente più fredda sul matrimonio forzato tra UBS e Credit Suisse che ha scongiurato un drammatico default bancario, un tempo, più solido al mondo. Anzitutto le modalità dell'accordo, per raggiungerlo in tutta fretta, sono state totalmente bypassate le assemblee dei soci delle due banche con evidenti problemi giuridici e statutari. C'è poi il nodo delle tutele. Gli azionisti, in primis di Saudi National Bank e Qatar Authority, hanno preso ben pochi soldi da UBS, ma sempre meglio di niente. Mentre gli obbligazionisti, quelli coi bond meno garantiti, hanno visto azzerare 16 miliardi di euro di prestiti. Per le regole internazionali dei salvataggi bancari chi presta soldi, un'obbligazionista, va tutelato di più di chi partecipa alla società comprandone un pezzetto, l'azionista. In Svizzera le regole sono leggermente diverse, specie per le categorie di bond più rischiosi ma i rappresentanti degli obbligazionisti annunciano battaglia e una valanga di cause legali miliardarie. La seconda questione è la enormità della nuova super UBS, avrà asset pari al doppio del PIL dell'intera Svizzera patrimonio in gestione pari a sei volte la ricchezza nazionale e due terzi del mercato domestico. Una concentrazione di potere economico e finanziario che non ha precedenti in un paese occidentale. Ecco perché si va verso una cura dimagrante con la cessione di parti del Credit Swisse con ricadute sul terzo e non ultimo problema. Ci sono 10 mila posti di lavoro in ballo e nemmeno tre mesi di tempo per salvarli.