Era il 4 aprile e il Ministro della Transizione Ecologica Cingolani sentenziava: "La madre di tutte le battaglie è il price cap internazionale". Traduzione: un tetto obbligatorio al prezzo del gas. Fra le ipotesi circolate, c'è quella di un tetto fra gli 80 e 90 euro a megawattora. La battaglia del Governo italiano si basa sul fatto che il costo del gas è inspiegabilmente e artificialmente più alto del suo effettivo valore di mercato. Ad oggi la Russia fornisce all'Italia il 50% in meno di gas rispetto alle forniture previste con il prezzo che però salito del 50%: quindi Mosca guadagna, ma noi abbiamo meno gas e lo paghiamo di più. Quello del price cap è uno degli strumenti che la Commissione Europea ha promesso che studierà e che finora ha contemplato nel piano RePowerEu solo come misura temporanea in casi di emergenza. L'adozione di questo strumento regolatore dovrebbe infatti avvenire in caso di interruzione delle forniture da Mosca, ma i contorni della misura sono tutti da definire anche per evitare conseguenze in termini di attrattività del mercato europeo, come sottolinea lo stesso Esecutivo dell'Unione. Di fatto tutto resta in un quadro assai fluido. Pure troppo. È come se la Commissione non avvertisse il senso di urgenza che serpeggia a Roma e in altre cancellerie europee sul dossier energia. È anche vero però che gli interessi degli Stati europei sono diversi, specialmente in materia energetica e sarebbe difficile far accettare a tutti un price cap, dato che, anche in Europa esistono paesi che con questa speculazione stanno realizzando forti guadagni seppur a danno di altri. Chiudiamo con due riflessioni dal mondo degli economisti: la prima nutre di scetticismo la bontà del price cap, individuandone una quota di rischio nell'atterraggio sui mercati. La seconda: lo strumento vedrà la luce solo se partorito dall'Unione Europea. Esclusa una nascita all'interno di un singolo stato.