Lo scorso anno il governatore della Banca d'Italia chiudeva le sue considerazioni finali con le parole: “Il destino dell'Italia è quello dell'Europa”. E proprio sull'Europa Ignazio Visco è tornato, incentrandovi gran parte della sua relazione 2019, che arriva a pochi giorni dall'esito delle elezioni europee. “In sostanza, dice Visco, dal palco del salone dei partecipanti, davanti a banchieri, imprenditori, economisti, politici e autorità, dall'Europa, non possiamo prescindere perché la nostra economia è profondamente integrata con quella del vecchio continente”. Pur non risparmiando critiche, conscio che il progetto europeo rimane una costruzione incompleta da portare a termine e migliorare, mancano, ad esempio, ancora strumenti comuni per la gestione delle crisi. Visco è chiaro “Non bisogna dare all'Europa colpe che non ha. Se vogliamo trovare le ragioni dei nostri problemi, occorre fare mea culpa e guardare in casa nostra, dato che la debolezza della crescita italiana degli ultimi vent'anni non è dipesa né dall'Unione Europea né dall'euro. Anzi, questo ci ha protetto - dice Banca d'Italia - ad esempio rendendo duraturo l'abbattimento di quella tassa occulta, che era la super inflazione, vicina, agli inizi degli anni '80, addirittura al 20 per cento. Riduceva il potere d'acquisto delle famiglie e costringeva il Paese a ricorrenti svalutazioni della lira. La riprova è, infatti, che quasi tutti gli altri Stati membri, pur nell'unione con la stessa moneta unica, hanno saputo fare meglio di noi”. “Quelli che oggi sono talvolta percepiti come costi dell'appartenenza all'area dell'euro sono, in realtà, il frutto del ritardo con cui il Paese ha reagito al cambiamento tecnologico e all'apertura dei mercati a livello globale. Saremmo stati più poveri senza l'Europa, lo diventeremmo, se dovessimo farne un avversario”. “Ma per curare i mali italiani la soluzione - è il monito del governatore - non può essere quella di aumentare il disavanzo. Il rischio è l'effetto boomerang della cosiddetta espansione restrittiva, analizzata dall'ex capo economista del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard, l'effetto espansivo di manovre in deficit che poi si pagano con l'effetto restrittivo dovuto all'aumento dei tassi di interesse per lo Stato, le famiglie e le imprese”.