Virus Cina, effetti pesanti sull'economia

30 gen 2020
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Oltre al drammatico bilancio in vite umane, l'epidemia del nuovo coronavirus rischia di avere un impatto pesante anche per l'economia, e non solo in Cina. L'elenco di interi settori che si stanno fermando è lunghissimo: compagnie aeree come British Airways, Lufthansa e Iberia hanno cancellato i voli. Saracinesche abbassate in via precauzionale per molte catene internazionali del commercio e della ristorazione, tra cui Starbucks e McDonald's, mentre il big dell'auto giapponese Toyota ha fermato gli impianti. Misura simile per due fabbriche di motociclette Honda. E ancora, Disney ha interrotto le attività nel parco di Shanghai, da quasi 12 milioni di visitatori l'anno, e di Hong Kong. Da ultimo anche Ikea ha deciso di chiudere temporaneamente tutti suoi 30 store. Uno stop generalizzato delle attività, con intere megalopoli messa in quarantena, che, se ancora prolungato, rischia di tradursi in un congelamento di consumi e viaggi, della domanda di energia e dunque di importazioni ed esportazioni del colosso asiatico. Del resto solo l'area di Wuhan, una delle principali dell'industria di auto e acciaio, vale 214 miliardi di dollari e dà un contributo dell'1,6% alla formazione del PIL cinese. Ancora difficile provare a quantificare l'impatto economico complessivo. I nove mesi di epidemia della Sars di 17 anni fa costarono alla Cina 25 miliardi di dollari di PIL, 40 a livello globale. Ma quella era una Cina diversa da oggi. Negli anni il suo peso è molto aumentato. Se nel 2003 rappresentava il 4,2% dell'economia mondiale, nel 2018 è salita al 15,8. Standard and Poor's stima ora fino a -1,2% del prodotto interno lordo su base annua. Una frenata che potrebbe portare il ritmo di espansione nel primo trimestre al di sotto del 5,5%, dato storicamente basso per i canoni cinesi. A pesare anche la sospensione dei tour organizzati interni e internazionali, considerando che il giro d'affari del turismo cinese all'estero ammonta a 130 miliardi di dollari, con conseguenze sugli acquisti di lusso fatti dalle nuove classi benestanti, made in Italy compreso, che oltreconfine valgono il 76% dell'intero mercato cinese di alta gamma.

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