Ferme le catene di montaggio nelle fabbriche d'auto e stop alla maggior parte dei cantieri edili. Attività sospese anche per chi produce abbigliamento e mobili. Continuerà, invece, ad andare avanti chi produce imballaggi di plastica, contenitori in vetro e in genere l'industria della gomma, quella chimica e quella energetica, compresi petrolio e gas. L'elenco stilato dal Governo col quale si dà un'ulteriore stretta all'industria e al commercio da mercoledì fino al 3 aprile, per contenere i contagi di coronavirus, si basa su un principio apparentemente semplice: restano aperte solo le produzioni essenziali. Il problema è che non è così facile determinare quali siano queste attività. Alimentari e medicine sono le due principali categorie di prodotti che non si possono fermare, ma per farli arrivare nei supermercati e nelle farmacie che ovviamente non chiudono, bisogna a monte, a garantire che una serie di comparti rimangano attivi. I sindacati, però, ritengono che nella scelta del Governo ci siano siano parecchie contraddizioni, quando per esempio si lascia campo libero al settore aerospaziale o alla produzione di vari tipi di macchinari, fra i quali i trattori. Fabbriche di questo tipo, rimarrebbero aperte, aggiungono i sindacati, dietro il pressing degli industriali, allarmati dai danni economici, stimati in 100 miliardi di euro al mese. C'è da dire che la lista con le restrizioni in alcuni casi è sottoposta all'autorizzazione del Prefetto, come il caso delle produzioni a ciclo continuo, quelle cioè che se interrotte potrebbero danneggiare gli impianti o causare incidenti. Ed è anche vero che c'è da tener conto delle ordinanze regionali, come quella della Lombardia, che decreta la chiusura, tranne in casi eccezionali, degli Studi Professionali, mentre il provvedimento del Governo prevede meno restrizioni. Insomma ancora confusione alla quale probabilmente si porrà rimedio con nuove direttive da parte di Palazzo Chigi.