"Questo è il posto dove l'hanno uccisa, davanti casa. Era mattina presto, Malala stavo uscendo per andare a lavorare. Hanno ucciso lei e il suo autista a sangue freddo, davanti a tutti e sono scappati via". Gul Mullah è il padre di Malala Maiwand, la giornalista 26enne, uccisa lo scorso dicembre a Jalalabad. Malala era una giornalista di Enikass, una grande emittente radiotelevisiva di Jalalabad. Questa era casa sua. Sua sorella Fatima Zahra Hilal, mostra le foto di Malala, mentre conduceva i programmi di attualità. Come sua sorella, per anni, anche Fatima si è battuta contro il ritorno del Regime Talebano. Entrambe hanno voluto seguire le orme della madre, attivista a sua volta e sua volta uccisa dai talebani, cinque anni fa. "Tante, troppe persone sono contro la libertà delle donne e vogliono tornare indietro, ai nostri anni bui. Vogliono tornare indietro di trent'anni. Malala non voleva essere segregata, aveva spalancato la porta di casa, provando ad essere libera. Con i talebani al potere, torniamo nel passato, anzi sarà peggio del passato, perché noi sappiamo cos'è la libertà. Ma oggi, ci sembra un'illusione. Il mondo, non può voltarsi dall'altra parte, consegnandoci a un regime oscurantista". Molto è cambiato negli ultimi vent'anni, in cui le amministrazioni americane, hanno speso quasi 800 milioni di dollari, per promuovere i diritti delle donne in Afghanistan. Tre milioni e mezzo di ragazze, frequentano le scuole, ma i progressi non sono stati uguali per tutti. In alcune zone del Paese, le scuole sono regolarmente oggetto di attacchi e più di mille istituti scolastici, sono stati costretti a chiudere negli ultimi anni, così come le donne che hanno provato a esporsi sui media, sono state punite. Farzana Kochai, era una parlamentare fino a pochi giorni fa, l'abbiamo incontrata a Kabul due giorni prima che i talebani entrassero in città. Farzana Kochai, era spaventata. È realista. "A volte penso penso che non riesco a fare niente per il popolo afghano e ne sono molto infelice. Stiamo combattendo contro un nemico e i talebani, che non crede diritti delle donne e le donne sono condannate a essere tagliate fuori dalla società. Qualcuno pensa che i talebani siano cambiati, ma sappiamo e già vediamo, che non è così. Per essere realisti, la maggioranza delle donne non ha acquisto diritti in Afghanistan. È stato possibile solo per una piccola elite, di cui anch'io faccio parte. Le donne di città che hanno potuto studiare e accedere al lavoro, ma nelle campagne e nelle aree rurali, poco è cambiato. I pochi diritti che le donne hanno acquisito in questi anni, sono in grave pericolo". Dopo l'omicidio di Malala, altre tre giornaliste sono state uccise. Dopo la loro morte, le emittenti di Jalalabad, hanno deciso di non assumere più donne, per tutelare la loro incolumità. "Qui lavoravano più di cento persone, tra giornalisti e tecnici. Oggi non c'è più nessuno". L'ingegnier Mohammad Latifi, è il vicedirettore di Enikass, la televisione per cui lavorava Malala. "Cinque dei nostri giornalisti, sono stati uccisi. Dovevamo proteggerli, per questo abbiamo deciso di chiudere la sede di Jalalabad". "Questa, fino a una settimana fa, era la redazione di Enikass, il più grande broadcaster della parte orientale dell'Afghanistan e qui dentro lavoravano cento persone tra tecnici e giornalisti. E Malala, lavorava qui. Oggi in questa stanza, i suoi colleghi non ci sono più, ma Enikass, il broadcaster, la televisione e radio, ha dedicato questa fotografia. Qui c'è scritto: i nostri martiri e sono: Kandahar, Tahir, Malala, Mursal, Shahnaz, Sadia. Sono tutti i giornalisti di Enikass che sono stati uccisi, negli ultimi mesi". "Sono i nostri martiri. Per loro, non abbiamo potuto fare niente, dovevamo fare qualcosa per gli altri. Perché ognuno di loro, è una singola persona, ma anche un'intera famiglia. Qui dentro erano al sicuro certo. Ma appena varcati i portoni blindati, non lo erano più". Dall'inizio dell'offensiva militare a maggio, in Afghanistan, hanno chiuso sei televisione e 44 radio. A Kandahar, i talebani, hanno occupato una radio, rinominandola Radio Sharia. "L'ideologia dei talebani è chiara a tutti. Sono gli stessi che erano al potere venti anni fa. Eppure, non ho mai chiesto a Malala di smettere o farsi da parte. Nemmeno nei giorni in cui ero più in pena per la sua sorte. L'ho sempre incoraggiata. Quando ha saputo di essere in una lista di potenziali obiettivi, mi ha detto: se mi fermo al primo avvertimento, il mio lavoro non ha senso". Il padre di Malala, prega sulla sua tomba. Ci sono i suoi ricordi e quelli portati al cimitero, dai suoi collghi.