Un continuo atterrare e decollare di aerei militari e file ordinate. Dietro il portellone i civili afghani da evacuare e tanti altri in attesa, in ripari più o meno di fortuna, all'interno dell'aeroporto di Kabul. E poi, all'esterno, c'era l'inferno delle file, quelle dove l'Isis ha fatto strage. Nell'unico scalo afghano ancora praticabile, i nostri militari, nostri Carabinieri ed un Console, operano incessantemente per portare in salvo quante più persone possibili ma ormai, il luogo, è troppo pericoloso per continuare ad esfiltrare. Indietro ne lasciamo tanti, con le polemiche per un'operazione di salvataggio, l'Aquila Omnia, partita troppo tardi. E con le lunghe liste di persone, che mai hanno avuto accesso ai famigerati kit. L'attentato, all'Abbey gate, colpisce il cuore della nostra missione, proprio qui, al River, venivano presi la maggior parte dei civili da proteggere in Italia. Italia che registra anche gli spari contro uno dei cinque C-130 dell'aeronautica militare, impegnati nell'evacuazione. Eravamo a bordo del veicolo, a 4000 piedi dal terreno, ed avevamo lasciato da una decina di minuti Kabul, quando il Comandante, il Maggiore Annamaria, ha messo in atto le manovre evasive per non venire colpite dai colpi delle small arms, mitragliatrici pesanti. A bordo, per alcuni istanti, c'è il panico. Le manovre fanno volare tutti dal pavimento e dai sedili, due volte di seguito. Poi il volo prosegue regolarmente, solo ad Islamabad, dove l'aereo si ferma per il rifornimento, arriva la conferma. Ci hanno sparato contro ma non ci hanno colpiti.