È l'ennesimo colpo di scena in una vicenda che non ne ha risparmiati fin dall'inizio. Julian Assange, il controverso fondatore di WikiLeaks, il sito specializzato nella diffusione di notizie classificate, non sarà estradato negli stati Uniti dove rischia 175 anni di carcere per l'accusa di spionaggio e pirateria. Lo ha deciso il giudice britannico Vanessa Baraitser capovolgendo le previsioni degli stessi supporter di Assange. La motivazione è che l'idea di WikiLeaks sarebbe a rischio suicidio. E del resto che la sua salute fisica e mentale fosse stata profondamente provata dalla vicenda era evidente. Tra le cause anche la sua lunga permanenza all'interno dell'ambasciata ecuadoriana a Londra, dove si era rifugiato per sfuggire al mandato d'arresto spiccato per una presunta violenza sessuale avvenuta in Svezia. L'accusa, poi ritirata, come sarebbe stata ritirata anche l'immunità diplomatica e lo status di rifugiato che gli era stato concesso dal Presidente ecuadoriano Rafael Correa. Di qui il secondo arresto nel 2019, dopo 7 anni di permanenza all'interno della sede diplomatica. Non si può negare che il fondatore di WikiLeaks sia un personaggio divisivo e problematico. Per alcuni paladino della libertà di informazione, Un eroe che ha denunciato le stragi di civili durante la guerra in Afghanistan e Iraq, che ha messo a nudo l'ipocrisia delle relazioni diplomatiche, grazie alla diffusione di cablo riservati, ma per i suoi detrattori le fughe di notizie sarebbero a senso unico e non avrebbero mai coinvolto Russia e Cina. Non a caso Assange ha anche condotto un talkshow per Russia Today. A prescindere da come lo si veda, resta il fatto che ad Assange è stato inflitto un percorso giudiziario persecutorio, ha subito una detenzione immotivata, quella all'interno dell'ambasciata dell'Ecuador, per cui il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, ha denunciato Gran Bretagna e Svezia. Ora forse la sua stella, è un po' appannata, ma c'è da scommetterci che di Julian Assange se ne continuerà a parlare.